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COVID-19. Infortunio sul lavoro. Inail. Responsabilità.

Responsabilità del datore di lavoro in caso di contagio da COVID-19 del lavoratore. Sono numerosi e complessi i punti di domanda.

Il quadro normativo consente di configurare varie ipotesi di responsabilita’ civile da far valere davanti al giudice del lavoro ma anche responsabilita’ di natura penale derivanti da contagio covid-19.

Gli aspetti e i profili sono numerosi e molto complessi.

Il dpcm n. 18 del 17.3.2020, pubblicato nella gazzetta ufficiale n. 70, prevede, all’art. 42, secondo comma, sia per il lavoro privato che pubblico
considera “infortunio sul lavoro l’ipotesi in cui sia accertata l’infezione da covid-19 del dipendente -in occasione di lavoro -in questo caso il medico redige il certificato di infortunio e lo invia all’Inail telematicamente che assicura la relativa tutela al lavoratore assicurato”.

La norma non si discosta dai principi generali in tema di infortuni sul lavoro e ribadisce anche in relazione al covid-19 una condizione essenziale
“l’occasione di lavoro”, nozione che, secondo la giurisprudenza ricomprende tutti i fatti, anche straordinari ed imprevededibili, inerenti all’ambiente, alle macchine, alle persone e al comportamento dello stesso lavoratore, purche’ attinenti alle condizioni di svolgimento della prestazione, compresi gli spostamenti spaziali funzionali allo svolgimento della stessa. Resta escluso il c.d. “rischio elettivo” ossia tutto cio’ che risulti estraneo e non attinente all’attivita’ lavorativa, costituente la conseguenza di un rischio collegato ad un comportamento volontario e arbitrario del lavoratore non in rapporto con lo svolgimento della sua prestazione.

Sul lavoratore grava l’obbligo di diligenza nello svolgimento della prestazione e deve attenersi alle regole contrattuali e rispettarle nello
svolgimento delle sue attività anche accessorie, mentre il datore di lavoro secondo l’art. 2087 del codice civile deve esercitare l’impresa adottando tutte le misure necessarie a tutelare l’integrita’ fisica e la personalita’ morale del lavoratore. Inoltre il d.lvo. n. 81 del 2001, testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, a carico delle aziende e dello stesso lavoratore

A queste disposizioni generali sempre vigenti si aggiungono quelle emergenziali e speciali ancora piu’ rigorose dettate in seguito alla
pandemia covid-19 che impongono il rispetto di ulteriori stringenti regole per lavoratori e datori di lavori. il datore di lavoro per essere esonerato da responsabilita’ civile e penale, deve dimostrare di aver osservato tutte le misure previste dalla legislazione ordinaria e ora anche dalla legislazione speciale anticovid e di aver predisposto tutte le misure di siurezza necessarie, alle quali il lavoratore deve dal canto suo rigorosamente attenersi. Segnalo che una fondamentale disposizione contenuta nel richiamato tu 81 del 2001, l’art. 20, lettera d, stabilisce l’obbligo per il lavoratore di “segnalare immediatamente al datore di lavoro le deficienze dei mezzi e dei dispositivi di protezione e ogni situazione di pericolo”, anche sul lavoratore grava un obbligo di correttezza e di diligenza che contribuisce a graduare i diversi ambiti di responsabilita’.

Ma come si fa a provare che il contagio è avvenuto in azienda o in itinere,considerato che l’incubazione è di 14 giorni?

la domanda e’ molto complicata in quanto la stessa comunita’ scientifica si sta’ ancora interrogando sui tempi di trasmissibilita’ del virus. Operano complicate regole legate all’onere della prova in parte gravanti sul lavoratore e in parte sul datore di lavoro. Esistono delle ipotesi
riconducibili a lavori particolari, che comportano una maggiore esposizione al rischio, dove queste regole si invertono e sono piu’ rigorose per il
datore di lavoro. ci sono infatti delle eccezioni dove per particolari categorie a rischio e per particolari lavoratori piu’ esposti al contagio
opera un’inversione dell’onere della prova, nel senso che opera una presunzione semplice di origine professionale del contagio, come per il
personale sanitario, cassiere, banconisti, maggiormente esposti. Anche in questo caso tuttavia devono elementi rigorosi come “indizi precisi e
concordanti”.

Sicuramente il datore di lavoro che rispetti rigorosamente i protocolli e le norme speciali nel proprio perimetro aziendale, adeguando e aggiornando anche i dvr (documento di valutazione rischi), eseguendo costante formazione e attestandola, gia’ esclude gran parte dei rischi ed è in grado di dimostrare che il contagio non pu0′ essere avvenuto dall’interno, anche tenendo conto di elementi presuntivi come ad esempio il numero dei casi verificatisi nell’azienda stessa.

In relazione ai contagi in itinere o addirittura a distanza l’accertamento del nesso causale tra la condotta del datore di lavoro e l’episodio di
contaminazione e’ ovviamente piu’ complicato e rigoroso per il lavoratore, si tratta di una prova difficilissima.

l’Inail ha precisato con la circolare n. 13/2020 che la copertura assicurativa e’ garantita all’assicurato a condizione che la malattia sia
stata contratta durante l’attivita’ lavorativa, come tale intendendosi anche quegli ” eventi di contagio accaduti durante il normale percorso di andata e di ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro”, ritenendo comunque necessitato l’utilizzo del mezzo proprio, per tutta la durata dell’emergenza epidemiologica, proprio per attenuare il rischio di contagio molto più elevato attraverso l’utilizzo del mezzo pubblico.

Per tornare alla domanda dei 14 giorni, nell’ipotesi di infortunio in itinere, il lavoratore deve dimostrare di essersi attenuto a tali regole, di
essersi trovato impossibilitato a recarsi a lavoro col proprio mezzo, di aver percorso con mezzi pubblici il “normale”, tragitto casa lavoro e
viceversa, di essersi dotato in questo caso di mascherina e guanti, di aver insomma posto in essere con diligenza tutti quegli accorgimenti a tutela della propria salute. Deve poi dimostrare l’esistenza del nesso causa attraverso una consulenza medico legale che tenga conto dell’elemento epidemiologico e clinico, anamnestico e circostanziale, dove i primi assumono certamente una valenza centrale.

Non c’è il rischio che alla fine le aziende, per prevenire rischi di responsabilità, allontanino i lavoratori?

il rischio esiste certo. alcune aziende lo hanno gia’ fatto. a mio avviso un’azienda che rispetti le regole difficilmente si espone a responsabilita’
e non ha la necessita’ di allontanare i dipendenti, mettendoli ad esempio in ferie forzate, come è accaduto, in certi casi a ragione e in altri in modo arbitrario, con abusi.

Qual è il reato che si integra nel caso conclamato di contagio in azienda?

A parte la responsabilita’ civile, con conseguente diritto al risarcimento del danno biologico da far valere davanti al giudice del lavoro, potrebbe
configurarsi anche quella penale ed essere integrato il reato di lesioni, lievi, gravi o gravissime, oppure il reato di omicidio colposi, previsti
dagli artt. 589 e 590 c.p., inoltre il d. l.vo n. 231 del 2001 prevede la responsabilita’ amministrativa delle persone giuridiche, societa’ e
associazioni prive di personalita’ giuridica.

Bisogna partire dal presupposto che aziende e lavoratori hanno il comune e scontato interesse ad evitare il contagio, operando nel rispetto delle
rigorose regole in capo ad entrambi, quindi l’esposizione al rischio, soprattutto in questa fase 2, dovrebbe essere minima o nulla. per la mia
esperienza professionale anche di questi ultimi mesi ritengo che la cosa piu’ difficile da realizzare sia rappresentata dal cambiamento culturale
prima ancora che dall’adeguamento ai nuovi protocolli, ai nuovi dvr (documento di valutazione del rischio) e alle disposizioni speciali.

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